I numeri dell’Auditel decretano ogni anno il successo del Festival di Sanremo più delle canzoni o della nuova fiction mandata in onda in prima serata. Ma cosa sono i dati Auditel? E cosa è utile sapere nell’interpretarli?

L’Auditel è la società che si occupa di rilevare l’ascolto della televisione italiana e, contrariamente a quanto si potrebbe intuitivamente pensare, questi dati hanno un peso importante, di fatto, non tanto nel determinare le aspettative del pubblico, quanto nel definire gli investimenti del mercato pubblicitario. Non è detto infatti che i programmi più visti definiscano i gusti degli italiani, mentre ecco che invece la pubblicità è spesso strettamente puntuale rispetto alla tipologia di pubblico a cui è destinata. Avrete notato ad esempio che difficilmente la pubblicità di un giocattolo è trasmessa, ad esempio, durante un film in seconda serata.

I media dipendono dagli introiti pubblicitari e i dati Auditel sono funzionali alla necessità di determinare gli spazi più ambiti per le inserzioni.

Ma il senso e il peso attribuito ai numeri forniti da Auditel è spesso maggiore, tanto che la società in passato è stata oggetto di riflessioni e polemiche. Dopo una sospensione del servizio imposta nel 2015, Auditel ha modificare la metodologia utilizzata nella propria raccolta dati. Da qualche anno il panel degli intervistati è composto da 16.100 famiglie e vengono condotte indagini non solo legate alla televisione tradizionale, ma anche alla nuova fruizione del media TV attraverso tablet, smartphone e computer.

I dati Auditel e l’errore che non si vede, ma c’è

Nonostante queste correzioni metodologiche, nel leggere i dati che Auditel mette a disposizione è difficile non avvertire qualche perplessità. Non viene ad esempio fornita la forchetta relativa all’errore del dato fornito per ogni rilevazione e non è dato neppure intuirla. Infatti trattandosi di valori ottenuti attraverso un’analisi statistica (la società non rileva il comportamento di tutti gli spettatori, ma solo del suo campione) è inevitabile che un errore ci sia, ma i dati vengono invece mostrati senza indicare l’intervallo entro cui sono compresi fornendo numeri estremamente precisi.

Cosa ci dice Auditel rispetto al margine d’errore dei valori forniti?

Il sito di AgCom fornisce in dettaglio la nota metodologica adottata da Auditel, dove si può leggere:

“[…]Tutto ciò premesso, non si può affermare genericamente qual è l’entità del margine di errore delle stime d’ascolto ottenute con il SuperPanel™ Auditel, ma è necessario riferirsi a casi concreti. Essendo estremamente ampia la gamma di combinazioni di canali, fasce temporali e target di analisi che possono essere prodotte con i dati Auditel, è corrispondentemente elevato il campo di variazione del margine di errore delle stime che possono essere prodotte, per cui fornire un dato medio non ha alcun significato. L’utente interessato a calcolare il margine di errore su un dato evento per un determinato target deve effettuare tutti i calcoli necessari o rivolgersi ad Auditel.”

Nel report del mese di febbraio 2021 leggiamo ad esempio che dalle 22.30 alle 2.00 una media di 108 persone è stata sintonizzata su DeAKids, a fronte di 1.821.558 spettatori di Rai1. Possiamo quindi pensare che, per quanto possa essere accurata la metodologia adottata, quel 108 sarà sempre e comunque una stima con un margine d’errore maggiore, come troviamo indicato anche nella nota metodologica, di quello fornito per i canali televisivi con maggior pubblico. Non abbiamo modo di sapere quanto quel dato sia stimato.

Da questo piccolo esempio capiamo quindi bene che non vale la pena guardare a questi numeri con precisione troppo speciosa. Peccato che purtroppo, spesso, l’ascolto medio e i valori di share resi noti da Auditel siano diffusi dai mezzi d’informazione in modo estremamente preciso, con interpretazioni a volte poco affidabili. Insomma, il problema, come spesso accade, non sta tanto nei numeri, ma di come vengono utilizzati.

Un esempio: i dati del Festival di Sanremo

Leggendo i dati del festival di Sanremo riportati dai giornali troviamo ad esempio:

“La quarta serata […] del Festival di Sanremo 2021 ha raccolto su Rai1 11 milioni 115 mila telespettatori pari al 43,3% nella prima parte e 4 milioni 980 mila nella seconda con il 48,2%. […] La media degli ascolti della quarta serata è di 8 milioni 14mila spettatori con il 44,7% [di share]. Ascolti in calo […] rispetto alla quarta serata dell’anno scorso che aveva avuto 9 milioni 504mila telespettatori medi e il 53,3% di share. […]” (Corriere della Sera)

Senza conoscere il margine di errore contenuto in questi dati possiamo davvero parlare di “ascolti in calo”? E ha senso cercare giustificazioni nel guardare ai 2 valori come si sono trovati a fare i responsabili del programma?

La media degli ascolti è calcolata ponderando (si presume) la media tenendo conto del diverso numero di ascoltatori della prima fascia oraria e della seconda. Ma, come abbiamo visto dalle parole contenute all’interno della nota metodologia, è presumibile che le due fasce orarie si portino dietro anche margini d’errore diversi.

La nota sottolinea infatti i limiti imposti dal Covid-19 rispetto, ad esempio, la manutenzione degli impianti domestici di rilevazione del segnale. Il campione delle due rilevazioni potrebbe quindi essere stato numericamente diverso.

Insomma non è possibile sapere qual è il margine d’errore dei dati forniti nel 2021 e dei dati forniti nel 2020. E se fossero tali da rendere insignificante o poco rilevante la differenza tra le 2 edizioni?

I dati Auditel e la politica

I dati Auditel dovrebbero quindi essere presi con cautela quantomeno da chi si occupa di informazione. Eppure non mancano di essere utilizzati anche come misura della popolarità degli ospiti delle varie trasmissioni televisive, specie se legate a figure di carattere politico, nonostante chi si è soffermato su un determinato canale può averlo fatto anche solo per pochi minuti, perdendosi del tutto l’intervista all’ospite di turno. Utilizzarli come indicatori con cui generalizzare gli interessi del pubblico è insomma un po’ rischioso. Invece troviamo titoli che ammiccano in questo senso come questo…

“Mattarella, mai così tanti alla tv, oltre 15 milioni per il suo messaggio di fine anno: share del 60%

Le ragioni di un ascolto così elevato sono legate probabilmente alla particolarità del momento storico, all’attesa per il discorso sull’anno del Covid, e naturalmente al fatto che la zona rossa ha costretto gli italiani a starsene in casa” (la Repubblica)

…oppure questo:

“Giorgia Meloni batte Salvini alla sfida dell’Auditel: la leader Fdi da Barbara D’Urso fa il 13,3%” Il Messaggero

Conclusioni

Le ragioni per cui non si possono trarre conclusioni troppo azzardate tra i risultati Auditel e gli interessi del pubblico sono molteplici. Non è infatti detto che il pubblico selezioni un determinato programma sempre in maniera attiva, consapevole di trovare lì soddisfazione ai propri bisogni. Così come a volte compiamo scelte che non ci soddisfano acquistando un prodotto, allo stesso modo non siamo un pubblico del tutto attivo davanti alle scelte televisive.

I dati dello share dei programmi Rai non hanno ad esempio lo stesso andamento degli indici di gradimento che la RAI rileva con cadenza periodica. Ad esempio nel report relativo al I semestre del 2020 l’indice di gradimento del pubblico del Festival di Sanremo è minore della media dei valori di gradimento registrati per altri programmi, pur superando il 40% di share nelle varie serate. Nello stesso report le trasmissioni di intrattenimento più apprezzate sono i live dei Pooh e di Andrea Bocelli, che però hanno registrato meno del 15% di share.

Per quanto anche queste rilevazioni possano essere lette con occhio critico, possono comunque aiutare a comprendere come non sia corretto semplificare consumo mediatico e consenso.

I dati Auditel quindi possono essere un indice rispetto a cosa stava guardando in TV una fetta di popolazione in un certo momento, ma occorre attenzione a quando vengono utilizzati per confezionare analisi diverse.

Per approfondire

Marco Gui, Se l’Auditel fa la felicità, in “il Mulino, Rivista bimestrale di cultura e di politica” 1/2010, pp. 113-118, doi: 10.1402/31090

 

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