Il danno biologico potenziale si misura, come abbiamo visto nella decima lezione del corso Fisica per i Cittadini dedicata ai pericoli legati alle radiazioni, in Sievert (Sv).

Il Sievert è un’unità di misura derivata del Sistema Internazionale e misura gli effetti provocati dalle radiazioni ionizzanti nel nostro organismo.

Online sono disponibili alcune infografiche che permettono di mettere tra loro a confronto le diverse tipologie di radiazioni a cui siamo quotidianamente sottoposti.

Quanti Sievert occorrono per provocare danni all’organismo umano?

Il danno biologico comincia a definirsi importante dopo 1 Sv (i valori si abbassano nei casi di donne incinta e altri casi specifici). Ma 1 Sv rappresenta una dose importante di radiazioni, anche spalmata nel corso di un anno.

In Italia l’esposizione media in un anno è di base pari a 3 mSv legati alla radioattività naturale, che, come abbiamo visto, è presente nell’aria, nei cibi che consumiamo e, specie in alcune realtà, è legata alla presenza di sostanze quali il Radon. Le nostre stesse cellule sono radioattive in particolare per la presenza di potassio. Non a caso le banane sono usate come unità di misura informale della radioattività.

Esami medici e esposizioni

Fatte queste premesse possiamo considerare l’esposizione legata a specifici esami medici:

  • Radiografia agli arti: 0,001 mSv = 10 -6 Sv
  • Radiografia toracica: 0,1 mSv = 10 -4 Sv
  • Mammografia: 0,4 mSv = 4*10 -4 Sv
  • PET: 7 mSv = 7*10 -3 Sv

Come si può osservare i valori riportati sono molto lontani da quelli di 1 Sv indicato come livello di soglia: occorrono 10.000 radiografie toraciche e 2.500 mammografie per raggiungere quel valore di esposizione. Occorre quindi essere sottoposti negli anni a valori davvero importanti di esami per subirne gli effetti collaterali.

Eppure periodicamente si diffondono ancor oggi bufale rispetto ai rischi di queste analisi mediche: nel 2013 ad esempio si è diffusa la teoria che la mammografia fosse la causa dell’incremento del cancro alla tiroide, allarmando inutilmente le donne che dovevano sottoporsi a questo esame.

Nel caso della PET, la radioattività deriva dall’assunzione di glucosio radiomarcato che impiega, dopo l’esame, qualche ora prima di sparire completamente dall’organismo. Per questa ragione il protocollo prevede che il paziente eviti di entrare a contatto con donne incinta, ma non ha alcun effetto dannoso per l’organismo di chi esegue l’esame, pur esponendo l’organismo a valori di radiazioni naturali pari al doppio di quelle a cui si esporrebbe normalmente in un anno.

Per fornire un altro termine di paragone: per i lavoratori esposti in Italia esiste un limite di esposizione pari a 20 mSv (dose efficace), ritenuto, se monitorato, un valore che permette di evitare un danno biologico potenziale da esposizioni. I limiti di esposizione sono definiti all’allegato IV del D.Lgs. 241/2000.