A partire dal 1981 si susseguirono nelle riviste scientifiche una serie di articoli che portarono a ipotizzare un’“epidemia di immunodeficienza tra gli omosessuali di sesso maschile”.
Già dopo pochi mesi, col diffondersi degli stessi sintomi tra donne e uomini eterosessuali, le ipotesi iniziali apparvero ad alcuni non del tutto insufficienti. Nonostante ciò la letteratura scientifica continuò ad indagare il problema concentrandosi sull’omosessualità dei soggetti ipotizzando che fosse “lo stile di vita”, l’uso di droghe e stili di vita “promiscui” a giustificare l’insorgenza di questa nuova sindrome mai manifestatasi in passato.
Se oggi vi trovaste a voler raccogliere informazioni su come si cura l’AIDS vi affidereste a pubblicazioni del 1982, dove, nelle conclusioni, si ipotizza che “tra gli uomini omosessuali, alcuni hanno un’immunodeficienza cellulare latente e ad ampio spettro che si manifesta clinicamente solo a causa di una forte esposizione a determinati agenti patogeni in particolari combinazioni” (*), o basereste le vostre scelte su articoli più recenti?
La stessa attenzione andrebbe riposta anche nel convincersi su quale sia la miglior cura nei confronti del COVID-19: articoli pubblicati a marzo o aprile possono contenere dati ancora esplorativi, non confermati da analisi successive. Pensiamo ad esempio all’idrossiclorochina, farmaco inizialmente somministrato ai pazienti affetti da COVID-19 e poi sospeso: gli articoli pubblicati sul tema sono stati molti e non tutti, nel tempo, concordi rispetto alle prime valutazioni, come si può ripercorrere in questa cronistoria pubblicata da AIFA.
(*)F. P. Siegal M.D. et al, “Severe Acquired Immunodeficiency in Male Homosexuals, Manifested by Chronic Perianal Ulcerative Herpes Simplex Lesions,” N. Engl. J. Med., vol. 305, (24), pp. 1439-1444, 1981.
Robert Gallo e le prime ricerche sui retrovirus
A mano a mano che l’epidemia di AIDS si manifestava in altre parti del mondo, coinvolgendo donne e soggetti emofiliaci, andavano sviluppandosi ipotesi diverse sulla causa del male. Si iniziava a capire che fosse trasmissibile per via sessuale, o attraverso il sangue e che non si trattasse quindi di un problema di “stile di vita”.
Si iniziò ad ipotizzare che si trattasse quindi di un virus, quindi di qualcosa che fosse trasmissibile tra gli individui: ipotizzare un virus trasmissibile tra gli esseri umani produceva una prospettiva del tutto diversa da quella posta da una malattia legata ai comportamenti del singolo. Non si trattava solo di un cambio di visione scientifico, ma anche culturale.
In quello stesso periodo Robert Gallo del National Cancer Institute stava lavorando con un piccolo gruppo di scienziati al retrovirus. Le sue ricerche gli avevano da poco permesso di individuare, agli inizi degli anni ’80, due retrovirus responsabili di specifiche tipologie di leucemie.
Nel 1982, quando il CDC segnalò al suo gruppo di lavoro che si stava ipotizzando un legame tra AIDS e qualche forma virale, Gallo, sulla base delle informazioni a sua disposizione, suppose che si potesse trattare di un virus della famiglia da lui studiata, quella degli HTLV. L’ipotesi fatta da Gallo era in netto contrasto con quanto fino allora prodotto dalla ricerca medica, che immaginava vi fossero una serie di concause.
Le prime ricerche parvero dare ragione a Gallo: il suo team individuò in soggetti malati e morti di AIDS il virus HTLV responsabile della leucemia. Vennero inviati alla rivista Science due articoli che raccoglievano i risultati di queste ricerche.
In seguito Gallo ammise che “Questa ipotesi, a quanto pare, era sbagliata. Tuttavia, fu fruttuosa, perché stimolò la ricerca che portò alla soluzione corretta”.
Il coinvolgimento di Luc Montagnier
Nel frattempo anche in Francia era stata avviata una ricerca simile: l’immunologo Jacques Leibowitch, che conosceva gli studi sul retrovirus condotti da Gallo, ipotizzò che potesse essere un retrovirus la causa dell’AIDS.Leibowitch voleva dimostrare che non si trattava di una malattia che andava relegata all’omosessualità, era scettico rispetto alle ricerche che attribuivano alle droghe e alla promiscuità la responsabilità della malattia e contattò Luc Montagnier dell’Istituto Pasteaur per capire se fosse possibile isolare un eventuale retrovirus.
Il gruppo di lavoro di Montagnier riuscì ad isolare effettivamente qualcosa e, contattato Gallo, venne da lui invitato a presentare un articolo, in modo da corredare quanto già pronto per Science e confermare le ipotesi fatte dal team statunitense. Gallo revisionò il lavoro di Montagnier che, in quell’occasione, non ebbe però grande visibilità.
Di lì a poco il gruppo di lavoro parigino si rese però conto che quanto da loro individuato non corrispondeva al virus di tipo HTLV già individuato da Gallo.Si trattava di qualcosa di diverso, che venne rinominato LAV. Montagnier inviò a Gallo i campioni da lui analizzati e presto Gallo dichiarò, nel 1984, di aver scoperto una nuova versione del virus HTLV.
Una rappresentazione del virus dell’HIV in un’immagine del 1987. Fonte: NIH
Margareth Heckler: quando la politica parla al posto della scienza
Margareth Heckler, allora ministro della sanità USA, convocò una conferenza stampa per annunciare la scoperta di Gallo, che presto sarebbe stato reso disponibile un test rapido per individuare il virus e che entro due anni sarebbe stato reso disponibile un vaccino.
Il Governo USA necessitava in quella fase di difendersi politicamente dalle accuse di non aver affrontato il problema AIDS. Le dichiarazioni fatte da Heckler erano però evidentemente in parte azzardate. L’annuncio pubblico, dato prima che la ricerca fosse stata pubblicata su una rivista specializzata, fu nel tempo utilizzato dalle frange negazioniste a sostegno delle loro idee.
La notizia fu quindi data offuscando il ruolo di Montagnier – che nel 2008 vinse assieme a Françoise Barré-Sinoussi il premio Nobel proprio per questa sua scoperta – tanto che l’archivio storico del Corriere della Sera di quei giorni associa al termine AIDS solo i nomi di Gallo e Heckler.
In seguito fu dimostrato che non solo il virus identificato da Gallo era lo stesso LAV identificato da Montagnier, ma in qualche modo il campione analizzato da Gallo fosse stato contaminato con quello inviato dall’istituto Pasteaur.
Corriere della Sera 25 aprile 1984
La battaglia legale tra Francia e USA per l’attribuzione della scoperta del virus (iniziata non solo per questioni di prestigio, ma anche per tutelare gli interessi sui brevetti dei test) si protrasse fino al 1987: la pace fu siglata da Reagan e Chirac che stabilirono come i due paesi avessero scoperto congiuntamente il virus. Fino ai primi anni ’90 non mancarono però di proseguire nei media e nelle riviste di settore accuse reciproche tra Gallo e Montagnier.
Il caso Gallo-Montagnier (qui tratteggiato provando a mettere assieme fonti diverse) rappresenta un esempio di conflitto tra scienziati che assunse dimensione pubblica. Altri si mantennero all’interno della sfera scientifica, riguardando dispute su ipotesi inizialmente scartate e poi riprese in considerazione.
Un esempio di discussione accesa: l’ipotesi Mycoplasma nella trasmissione dell’AIDS
Nel 1986 un giovane virologo, Shyh-Ching Lo, ipotizzò di aver trovato un nuovo virus in pazienti con AIDS. La comunità scientifica, in quel momento schierata a difesa del ruolo svolto dall’HIV, bocciò le ipotesi di Lo, senza prenderle in considerazione.
Quello che Lo aveva isolato risultò poi essere un mycoplasma, non un virus, che riuscì a descrivere in una pubblicazione solo nel 1989. La sua ipotesi non ebbe alcuna considerazione fino a quando nel 1990 Luc Montagnier concordò nell’ipotesi che i mycoplasmi potessero avere un ruolo nella diffusione dell’HIV. Per quanto Montagnier e il suo gruppo di lavoro avessero presentato quest’ipotesi in uno studio ancora esplorativo, dichiarandolo come tale, la comunità dei virologhi, come raccontato da Science, si divise tra coloro che non volevano neppure discutere le ipotesi di Montagnier, ritenendo che andasse persino perdendo di credibilità e coloro che, per quanto critici, dicevano che
“Se qualcuno con il curriculum di Montagnier trova qualcosa, la comunità scientifica deve investigare” – Thomas Folk
Ad approfittare di questa polarizzazione fu la frangia dei dissidenti (oggi diremmo “negazionisti”) che proprio in quegli anni andava creandosi. Usarono il nome di Montagnier per dire che persino lo scopritore dell’HIV ne negava il ruolo nella diffusione dell’AIDS, posizione dalla quale Montagnier dovette difendersi con dichiarazioni pubbliche riprese dai quotidiani USA.
Dal 1990 ad oggi sono stati pubblicati numerosi studi atti a verificare il rapporto tra Mycoplasmi e HIV. Al momento però le ricerche non paiono fornire risultati univoci, il legame tra i due elementi non è dimostrato, e gli studi sono pertanto ancora in corso.
Abbiamo visto che la tendenza a mantenere e difendere una propria posizione fino a rappresentare la discussione scientifica in forma di muro contro muro non è nuova. Ci sono voluti anni prima che Gallo e Montagnier si scusassero. La disputa Montagnier vs virologi una volta resa pubblica ha cambiato persino senso.
In questi mesi la discussione attorno alla pandemia di COVID-19 ha contrapporsi nella discussione pubblica posizioni diverse. Il 24 giugno un gruppo di 10 esperti italiani sulla base dei dati disponibili pubblicava un documento in cui affermava che l’emergenza legata al Coronavirus fosse finita. Non tutta la comunità scientifica condivideva queste riflessioni.
I fatti hanno dimostrato che le ipotesi dei 10 firmatari del documento non erano corrette, tant’è che l’infettivologo Matteo Bassetti, tra i firmatari dello stesso, il 12 novembre ha dovuto dichiarare, durante un’intervista televisiva (*), che le sue ipotesi erano sbagliate.
Ma in questi mesi le ipotesi a tema Coronaviurs che hanno polarizzato l’opinione pubblica sono state anche altre: quali vi vengono in mente?
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