Nel frattempo le pubblicazioni scientifiche crescevano. Nel 1982 si contavano meno di 30 paper a tema AIDS, nel 1983 salirono a 600, fino ad arrivare a 26.000 del 1986.Se da un lato le evidenze scientifiche parevano confermare il ruolo del virus scoperto da Gallo e Montagnier, molti interrogativi cercavano ancora risposta. Come operava il virus? C’erano altri cofattori? Come entravano in gioco?
Alcuni criticarono il consenso sociale che si costruì rapidamente attorno al ruolo svolto dall’HIV. Ma tanto il livello sociale, quanto quello politico necessitava di certezze per poter affrontare l’epidemia che continuava a dilagare.
Allo stesso modo medici come Joseph Sonnabend, tra i primi a sostenere le campagne per la diffusione del preservativo, continuavano a sostenere l’ipotesi che la causa dell’AIDS fosse dovuta a più concause che portavano ad un “sovraccarico immunitario”: in questa fase dove ancora molti dubbi restavano aperti le diverse posizioni dibattevano non solo nelle riviste scientifiche ma anche nelle riviste della comunità gay, attore sociale importante nel processo di costruzione del consenso in corso.
Nel 1986 ricerche, pubblicazioni ed evidenze scientifiche concordavano nell’individuare nel virus scoperto da Gallo e Montagnier la causa dell’AIDS.Il virus fu così definitivamente denominato HIV. Ulteriori studi ed approfondimenti rafforzarono e confermarono nei decenni successivi questa posizione
L’epidemia di AIDS alle prese coi negazionisti
Ed è proprio in questo momento in cui sembrano consolidarsi i saperi scientifici e il consenso sociale che si apre la fronda dei dissidenti.
“Come si riapre una controversia che sembrava chiusa? Che tipo di tattica permette a qualcuno di interrompere il passaggio di conoscenza dall’ipotesi a fatto di senso comune?” (Steven Epstein, sociologo)
Nel caso dell’HIV ad entrare in scena è Peter Duesberg. Biologo molecolare dell’University of California, Duesberg contava nel suo curriculum importanti ricerche nel campo dei retrovirus in ambito oncologico. Questo lo rendeva non solo riconducibile alla categoria degli esperti, ma anche figura che godeva di considerevole rispetto in ambiti accademico.
Le supposizioni di Peter Duesberg
Nel 1987 Duesberg pubblicò un articolo sulla rivista Cancer Research in cui metteva in dubbio il rapporto tra HIV e AIDS. Dubitando che si trattasse di una malattia infettiva, ridava linfa a ipotesi e teorie precedentemente abbandonate. L’articolo in questione non conteneva i risultati di una ricerca, ma una serie di interrogativi e congetture. Duesberg si chiedeva ad esempio come mai molte persone risultassero positive ai test dell’HIV ma non sviluppassero i sintomi dell’AIDS.
In quegli anni, come racconta Cristiana Pulcinelli in “AIDS. Breve storia di una malattia che ha cambiato il mondo”, mancavano ancora i dati empirici sull’evolversi della malattia. Si iniziò a parlare di “sieropositivi” ipotizzando che l’infezione da HIV si potesse manifestare in modi diversi, portando in alcuni casi all’AIDS, in altre a infezioni di minor rilievo e infine a non avere conseguenza alcuna.Le ipotesi di Duesberg in questo contesto potevano entrare in risonanza coi dubbi e le speranze di chi risultava positivo all’HIV senza aver ancora contratto l’AIDS. Ma era solo un’illusione destinata ad arrestarsi quando sul finire degli anni ’80 i dati iniziarono a dimostrare altro, quando
“La grande maggioranza delle persone contagiate, in assenza di terapia, progrediva verso stadi sempre più avanzati di immunosoppressione e prima o poi si ammalava di AIDS.”
Duesberg veniva invitato in televisione, trovava spazio sui quotidiani nazionali e assunse il ruolo di voce dissidente sul tema AIDS. Ma Duesberg, per quanto venisse presentato come tale, non era un esperto di AIDS, non era il suo campo di ricerca.
Gli aspetti non facili del carattere di Gallo, i suoi precedenti con Montagnier, resero comunque gioco facile nella costruzione della figura di un antagonista buono. Se da un lato nessun ricercatore si degnava di smontare pubblicamente le sue domande per non fornirgli alcuna legittimità, dall’altro in pezzi dell’opinione pubblica la lentezza con cui si portavano avanti cure alimentava sfiducia e stanchezza.
Per provare a marginalizzare la figura di Duesberg, nel 1988 Scienze ospitò due articoli: “Perché l’HIV non causa l’AIDS” a firma di Duesberg e “L’HIV causa l’AIDS” scritto da Gallo e dai suoi collaboratori. Questo non fu sufficiente a fermare Duesberg che proseguì nel proporre cure e ipotesi alternative.
A questo si aggiungeva, come abbiamo visto, il dibattito tra scienziati che non sempre concordavano tra loro sugli esiti delle loro ricerche, dibattito che diventava linfa per Duesberg.
“The AIDS Catch”: quando il negazionismo approda in televisione
Nel 1990 la televisione inglese trasmise su Channel 4 un documentario dal titolo “The AIDS Catch” che forniva ampio spazio alle ipotesi di Duesberg, intervistando persone positive all’HIV, ma che ancora non avevano sviluppato la malattia, o persone dichiarate guarite dall’AIDS e diventate HIV negative.Nel documentario intervengono anche i medici che per primi avevano scoperto i sintomi dell’AIDS, ancora ancorati a ipotesi precedenti al 1984.
In questo documentario, oggi visibile su YouTube e condiviso dai sostenitori, che ancora esistono, delle teorie di Duesberg, il legame tra HIV e AIDS viene mostrato come qualcosa di pericoloso, costruito ad arte per spaventare le persone e cambiare le abitudini sessuali dei giovani (ricordiamo che gli anni ’70 avevano avviato una sorta di rivoluzione in questo campo). Il virus non si era sviluppato, si dice nel documentario, facendo intervenire epidemiologi inglesi con il tasso di crescita previsto, anzi.
A rafforzare i contenuti del documentario compaiono due interventi di Walter Gilbert, premio Nobel per la chimica nel 1980, mostrandolo scettico, rispetto alle modalità con cui erano stati generalmente accolti gli studi che correlavano l’HIV all’AIDS. Gilbert termina il documentario dicendo:
“La grande lezione della storia è che la conoscenza si sviluppa attraverso il conflitto di punti di vista, che se si ha semplicemente una visione consensuale se ne viene offuscati, non si vedono i problemi di quel consenso; rompere quell’iceberg e permettere alla conoscenza di svilupparsi dipende dai critici. Questo è, infatti, uno dei fondamenti della teoria democratica; è uno dei motivi fondamentali per cui crediamo nelle nozioni di libertà di parola; ed è una delle grandi forze in termini di sviluppo intellettuale.”
L’utilizzo delle parole ad effetto di un premio Nobel associate a teorie che non hanno mai avuto, neanche a distanza di quasi 40 anni, evidenza scientifica, è una pratica che verrà ripresa negli anni anche per sostenere altre storie di pseudoscienza.
Anche in Italia…
Alle critiche sollevate da Duesberg risposero in maniera definitiva le scoperte scientifiche del 1992 condotte, tra gli altri, da Anthony Fauci. Crollavano così anche le ipotesi dei sostenitori dell’idea che le convinzioni sviluppate nel 1984 fossero state prese più sulla scia del consenso sociale che su evidenze scientifiche.
Questo non bastò a frenare la visibilità mediatica alle teorie dissidenti sull’epidemia di AIDS.
Basti pensare che anche in Italia, quando ormai l’OMS contava oltre 15 milioni di persone infette dall’HIV nel mondo e ogni 1° dicembre le strade delle città italiane si riempivano di studenti in occasione della giornata mondiale contro l’AIDS, il Corriere della Sera pubblicava un’ampia recensione, priva di una seria valutazione scientifica, della traduzione italiana di “The inventing Virus” scritto nel 1996 da Peter Duesberg e pubblicato in Italia nel 1998 – quando i riflettori erano ancora puntati sul Metodo Di Bella – da Baldini & Castoldi.
Il 1° febbraio del 2004 Peter Duesberg è stato inoltre ospitedel programma Domenica In, sulle reti RAI, intervistato da Paolo Bonolis, nonostante le proteste di associazioni e medici.
In quel periodo (ma non solo) non mancavano personaggi pubblici che ammiccavano a Duesberg: tra tutti ricordiamo Jacopo Fo, figlio di Dario Fo, e Beppe Grillo. A riprova di come per tutti gli anni 2000 ancora trovassero visibilità le ipotesi negazioniste, segnaliamo un articolo pubblicato nel 2009 su MedBunker, il blog di Salvo Di Grazia, volto a smentire le numerose falsità diffuse sul tema: “HIV: un mistero che non esiste”.
Ma come si può verificare consultando il catalogo Amazon, in Italia si pubblicano e vendono ancor oggi libri che portano avanti le ipotesi di Duesberg.
A proposito del libro scritto da Duesberg è interessante notare come si faccia forte dei dubbi sul rapporto HIV/AIDS di un altro premio Nobel per la chimica, Kary Mullis, le cui ricerche non riguardavano l’AIDS. Nel 2019, quando morì, i giornali lo definirono un Nobel “non convenzionale”. Mullis era appassionato di astrologia, raccontava di aver sperimentato l’LSD e non riconosceva il ruolo dell’uomo nei cambiamenti climatici.
Oggi il nome di Kary Mullis ritorna ad essere usato da alcuni negazionisti del COVID-19 per sostenere le proprie teorie. La tecnica utilizzata per i tamponi attuali, messa in dubbio dai negazionisti, è stata ideata da Mullis. Ma egli è morto prima di vedere l’avvento di questa pandemia e non ha quindi mai potuto esprimere un parere in merito.
Negazionismi di ieri e di oggi: schemi che sopravvivono nel tempo
Tra le varie ipotesi negazioniste proposte per il virus dell’HIV ci sono molte storie recentemente riciclate anche per negare l’epidemia di COVID-19. Ve ne proponiamo alcune, ma è probabile ve ne siano anche altre.
Il virus è stato sviluppato in un laboratorio: FALSO
Ieri: Negli anni ’80 iniziò a circolare l’idea che il virus dell’HIV fosse stato creato in laboratorio per invadere i paesi poveri di farmaci costosi. A diffondere questa falsa idea fu il biologo Jackob Segal. Si scoprì in seguito che Segal era un agente del KGB e il suo scopo era intimorire la popolazione abbassandone il livello di fiducia.
Oggi: Pare sia una virologa cinese Li-Meng Yan ad aver dichiarato che il COVID-19 è stato creato in laboratorio, trovando il consenso all’estero di svariate figure politiche. Anche in questo caso però dietro a queste dichiarazioni che contengono false notizie si nascondono interessi politici, come raccontato da Valigia Blu che ha ricostruito l’intera vicenda
Il virus non è mai stato isolato: FALSO
Ieri: Tra i negazionisti dell’HIV c’è chi afferma che il virus non sia mai stato isolato. Come abbiamo visto non c’è niente di più falso. Ovvero si può dichiarare che il virus non fosse stato isolato prima del 1984, ma come potete leggere nei precedenti paragrafi il virus venne isolato per la prima volta persino in due laboratori diversi. Per dare credibilità a questa ipotesi si trova da più fonti segnalata una fantomatica sentenza di un tribunale tedesco del 2001.
Oggi: Nonostante il virus del COVID-19 sia stato isolato da vari laboratori in tutto il mondo, continuano a circolare messaggi volti a negarlo. Tra i portavoce di questa ipotesi in Italia troviamo nomi e cognomi che fanno riferimento ai movimenti antivaccinisti. Queste teorie sono state oggetto di varie campagne di fact-checking che ne dimostrano l’inconsistenza.
Non si muore per il virus: FALSO
Ieri: Duesberg nel documentario di cui sopra afferma che l’AIDS è una collezione di 25 malattie comuni, note da secoli. Chi crede che l’HIV causi l’AIDS se trova tracce di HIV in un malato di tubercolosi dirà che la causa è l’HIV, invece è la tubercolosi. Ma è invece dimostrato che è proprio l’HIV a portare, in assenza di terapie farmacologiche, all’indebolimento del sistema immunitario, rendendolo incapace di affrontare le malattie.
Oggi: In Italia esiste chi sostiene che non si muore per il Covid e che le morti segnalate siano dovute ad altre patologie in persone che incidentalmente sono risultate poi positive al Covid. Dichiarazioni di questo tipo sono state fatte da personaggi pubblici e diffuse sui media. Se da un lato l’età media dei decessi porta a ritenere che vi fossero anche altre patologie in campo, dall’altro le analisi condotte da ISTAT evidenziano come la mortalità registrata nel primo semestre del 2020 sia stata del 38,7% superiore alla media del quinquennio precedente.
Durban e la XIII Conferenza Internazionale sull’AIDS
Per quanto oggi vengano considerati minoritari i consensi di cui godevano le teorie alternative di Duesberg (a cui non riuscì mai a dare una conferma scientifica), occorre ricordare che nel 2000, in occasione della XIII Conferenza Internazionale sull’AIDS che si tenne a Durban, in Sudafrica, 5.000 medici sottoscrissero un documento per riaffermare che l’AIDS era provocato dall’HIV. Le teorie dissidenti, che arrivavano a sostenere che l’HIV fosse stato inventato per vendere all’Africa nuovi farmaci, trovavano terreno fertile nei Paesi africani specie tra i leader politici.
Godevano del sostegno, tra gli altri, proprio dall’allora presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki. Nel 2000 in Sudafrica vivevano 4,3 milioni di persone positive all’HIV, ma Mbeki e la ministra della salute, la dottoressa Tshabalala-Msimang, rifiutavano i farmaci antiretrovirali forniti dalla Fondo globale per la lotta contro l’AIDS, definendoli tossici. Quando nel 2005 si tenne di nuovo la Conferenza sull’AIDS in Sudafrica, la ministra Msimang suggeriva ancora come cura aglio, limone, patate e barbabietole.
Tra il 2000 e il 2005 in Sudafrica sono morte di AIDS 350.000 persone, private, anche sulla base di convinzioni senza fondamenti scientifici, di farmaci.
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